1995 - TREKKING CIRCUITO ANNAPURNA (NEPAL)

TREKKING CIRCUITO ANNAPURNA


Non ricordo con esattezza quanti ma sono molti gli anni trascorsi dal momento in cui nella mia testa si era fatta strada l’idea di visitare il Nepal. Allora mi sarebbe bastato trascorrere pochi giorni in tenda tra queste montagne, oggi, forse più avido ma anche con esperienza maggiore maturata tra i monti di casa mia e con maggiori disponibilità, di tempo e denaro, eccomi in questo paese asiatico per tentare un trekking lungo quasi 300 chilometri.

Il programma di questo viaggio, oltre al trekking dell’Annapurna, comprende una visita turistica dell’India ma le disavventure avvenute in questo subcontinente non le menzionerò.

Non nascondo che ho avuto qualche dubbio relativamente al periodo che m’era disponibile: agosto. Nel Nepal questo mese coincide con la stagione delle piogge causate dall’arrivo del monsone. Stando a ciò che ho letto si rischia di non vedere niente ma, con un po’ di fortuna, si può trovare il paese nell’aspetto di alcuni anni fa, quando i percorsi oggi più frequentati non erano ancora intasati, una vegetazione più rigogliosa e più verde, nuvole in continuo movimento e un cielo che, quando compare il sole, diventa di un azzurro splendente.

Era rimasto un problema: con chi andare?

Con motivazioni diverse i soliti compagni di gite mi avevano dato risposta negativa. Tra gli amici di gioventù, Sergio da non molto tempo aveva iniziato a frequentare le montagne e fu proprio lui ad aderire, anche se con poca convinzione. Era solo l’inizio del 1995 per cui avevamo tutto il tempo di allenarci in maniera adeguata.

Sergio è un ragazzo che conosco fin dai tempi dell’infanzia trascorsa nel quartiere Vico di Quarona. Da poco accostatosi alla montagna, aveva vissuto con grande entusiasmo i preparativi logistici volti a renderci completamente indipendenti per il viaggio e autosufficienti per il trekking, utilizzando alimenti italiani. Gli allenamenti effettuati in Valsesia, forse non troppo variegati, consistevano principalmente in percorsi innevati in cui lo sprofondare aiutava ad abituarsi a grandi sforzi.

I mesi erano trascorsi velocemente ed il continuo frequentarsi nei fine settimana aveva aumentato l’affiatamento tra noi: sicuramente ciò avrebbe contribuito alla migliore riuscita del trekking sia sotto il profilo fisico, legato alle innumerevoli fatiche che avremmo dovuto sopportare, sia sotto quello psicologico, legato alla reciproca convivenza e sopportazione.


Venerdì 21 luglio 1995

E’ il giorno fatidico. Dall’aeroporto Malpensa decolliamo. Quattordici ore di volo complessive più sette di attesa a Mosca. Spendendo qualche soldo in più i tempi sarebbero stati più brevi, ma viaggiando in economia...

Seduta vicino a me in aereo una simpatica ragazza londinese di nome Ben Henderson, studentessa in farmacologia, con la quale instauro una conversazione in una lingua che dal francese va all’inglese per terminare nel dialetto valsesiano. Questa presenza sembra comunque di buon auspicio per il viaggio.

Giungere a Kathmandu è una grande emozione, nel nastro trasportatore compaiono i nostri bagagli, bene! E’ ormai normale sentire persone lamentarsi di vacanze rovinate dalla perdita di bagagli.

Per l’accesso in questo paese sono obbligatori il passaporto ed il visto, quest’ultimo ottenibile direttamente all’arrivo in aeroporto. Durante l’attesa per le questioni burocratiche stringiamo amicizia con due ragazzi di Trento: Giovanni e Dennis, con loro andiamo poi alla ricerca di un hotel.

Kathmandu è ormai una metropoli che si estende a macchia d’olio; non mancano ristoranti e pizzerie in stile italiano. Passeggiando per la città, forte è la tentazione di acquistare indumenti in vendita nei negozi o sulle bancarelle, in particolare i maglioni di ottima fattura con decorazioni fantasiose e ad un prezzo veramente contenuto. Ne acquisto uno come previsto per il trekking, non avendolo appositamente portato dall’Italia, mentre il resto degli acquisti lo rimandiamo al rientro dalla sgambata.

Dalla finestra dell’hotel scorgo decine di aquiloni dai mille colori guidati da bambini sorridenti che si agitano sulle terrazze-tetto delle abitazioni: forse solo ora mi sento veramente in Nepal.

In Nepal, come del resto in altri paesi, l’ascensione delle montagne più elevate è possibile solo mediante pagamento di un permesso, il costo lievita man mano che la quota aumenta.

Anche per effettuare trekking occorre il permesso, che si ottiene all’ufficio immigrazione a costi più modesti.

Rimaniamo un solo giorno nella capitale, più che altro per le pratiche burocratiche connesse al documento indispensabile per il trekking. Visitiamo nel frattempo il tempio indù di Swayambhunath situato su un piccolo promontorio ed accessibile grazie ad un’erta scalinata che attraversa un grazioso parco, frequentato da numerose scimmiette. Poi il tempio di Pashupatinath e quello di Guheswari. Nel primo, agghiacciante la visione di un rito funebre sulle rive del fiume sacro Bagmati, con tanto di cremazione. Camminando per circa trenta minuti giungiamo per sentieri e sterrati al cospetto del Boudhanath Stupa, forse il più grande tempio buddista. Per la visita delle zone periferiche resta comunque economico anche l’utilizzo dei taxi. Ne approfittiamo per portarci a Patan lungo la Main Road, strada abbracciata da numerosi templi sacri, ma anche da artigiani e mercanti con i vari souvenir.

In questa città è possibile trovare attrezzature complete per trekking ed alpinismo spesso lasciate da precedenti gruppi o spedizioni; occorre comunque conoscere il valore reale degli oggetti onde evitare che un’occasione cèli una fregatura. Un esempio: le bombolette di gas per fornellini sono molto più care che in Italia, forse conseguenza dell’elevata richiesta.

La località di partenza del nostro trekking è la cittadina di Dumre, posta a 455 metri di altezza, che dista 5 ore di autobus da Kathmandu; lì è possibile acquistare le provviste a prezzi ragionevoli.

Lungo il percorso del circuito dell’Annapurna non ci sono comunque problemi per gli alimenti; nei villaggi è possibile mangiare e pernottare, per cui anche l’utilizzo della tenda è superfluo. Queste considerazioni hanno valore per il mese di agosto in bassa stagione; durante i mesi autunnali, più gettonati, l’affollamento è tale che nulla è scontato!

La nostra scelta è stata di portarci alimenti italiani principalmente per garantirci una condizione fisica ottimale, di conseguenza ci occorrerà il sostegno di portatori locali. Nostra intenzione è di contattare i portatori direttamente “in loco” senza il tramite di un’agenzia, per evitare uno sfruttamento da parte di quest’ultima.

La sosta pranzo del nostro pullmino per Dumre ci consente di conoscere la cucina nepalese, piuttosto semplice e povera, in questo caso costituita da riso, verdure cotte e salse piccanti.

Eccoci a Dumre, dove senza troppa fatica contattiamo un locale che si offre come portatore. Ci invita nella sua abitazione per le trattative, l’atmosfera è cordiale, ci presenta un amico raccomandandolo per la particolare serietà e forza. Da parte nostra spieghiamo le nostre intenzioni e insieme definiamo la cifra di 7,5 $ giornalieri a testa, esclusi vitto e alloggio.

Alla richiesta di un forte anticipo rispondiamo in maniera negativa e non avremo di che pentircene.

Acconsentiamo invece alla loro richiesta di utilizzare un pullman fuoristrada per il primo tratto. Essendo pieno zeppo di gente rimane la soluzione di salire sul tetto; la strada da brivido che percorriamo è in pessimo stato a causa delle piogge monsoniche che causano continue frane. Beh, l’avventura è cominciata!

Nei pressi del villaggio di Turture il mezzo si impantana e anche con l’aiuto di tutti i passeggeri, che senza risparmio spingono il bus, niente da fare! Non ci resta che prendere i bagagli e, dividendo equamente il peso in quattro parti, ci incamminiamo. Notiamo subito che i nostri portatori sono lenti e svogliati, sarà il caldo! Essendo tardo pomeriggio dopo un’ora e mezza di cammino decidiamo di sostare per la notte. Parlando con un nepalese troviamo una camera in una piccolissima abitazione in legno.

Suppongo che quella camera sia la sua e infatti lo scorgo dormire tra i fornelli, ma ormai la cosa è fatta, probabilmente i soldi gli servono ed è abituato a questa situazione.

Prima di addormentarci decidiamo di lavarci, l’acqua dista circa 500 metri dal villaggio costituito da una decina di abitazioni. Dobbiamo affrettarci vista l’assenza di corrente elettrica e relativa illuminazione. Siamo continuamente seguiti da una miriade di bambini sorridenti, incuriositi da ogni nostro gesto.

Al canto del gallo ci svegliamo, ma la partenza è un’altra cosa! I portatori dormono alla grande e solamente dopo qualche ora di preparativi si parte. Nonostante il percorso pianeggiante e il ridottissimo carico, i portatori continuano a fermarsi per mangiare, per riposare e per mille altre scuse. Rammento loro il nostro accordo più volte e per risposta sostano per il pranzo. Ultimi scambi di opinione che portano alla rottura definitiva, mi rincuora il fatto di non aver anticipato i compensi.

Pago il lavoro svolto, ma i due non sono soddisfatti; inoltre due giovani nepalesi si offrono per sostituirli e questo causa una tremenda lite estesa a tutto il villaggio. L’aria si fa pesante, una donna colpisce con un sasso un aspirante portatore e noi decidiamo di allontanarci velocemente con tutto il carico per mantenerci in buona salute!

Con quel peso non andiamo però molto lontano, la nostra speranza è di essere raggiunti dagli aspiranti portatori: così avviene! Nuova contrattazione, abbassiamo i costi: 5$ a testa per giornata. I due nepalesi sono giovani e sicuramente stanno affrontando con spirito diverso l’incarico conseguito. Nel tardo pomeriggio sotto un sole cocente giungiamo a Besi Sahar in seguito a sei ore e mezza di marcia effettiva, appena in tempo per non cadere sotto un violento temporale. Da Turture (500 metri) a Besi Sahar abbiamo compiuto solamente 300 metri di dislivello ma il caldo afoso ci ha martoriato, non vediamo l’ora di salire in quota per gustare un clima più mite.

Durante la stagione asciutta il percorso Dumre-Besi Sahar è percorribile con mezzi fuoristrada. In questo villaggio è presente una stazione di polizia, un piccolo ospedale di distretto, le scuole superiori, uffici governativi, negozi ed alberghetti. Lungo tutto il circuito dell’Annapurna sono presenti posti di polizia dove viene chiesto di mostrare il permesso di trekking, questo consente di rintracciare più facilmente escursionisti che si perdono o subiscono incidenti.

La nottata ci preoccupa alquanto: pioggia tipo alluvione valsesiana, acqua a secchiate!

L’hotel in cui pernottiamo, è così che chiamano questi alloggiamenti privati, è pulito e più che dignitoso; se avessimo usato la tenda avremmo passato una nottata non troppo allegra. Al mattino piove ancora, ma in maniera meno intensa. Muniti di ombrelli e mantelline proseguiamo attraverso i sentieri ormai diventati ruscelli, per campi coltivati, rigogliosa vegetazione e piccoli villaggi sino a Bhule Bhule.

Anche i nuovi portatori continuano a creare problemi di ogni genere legati comunque al fattore denaro ma, diversamente dai precedenti, almeno camminano. Vidimiamo il permesso al posto di polizia e mangiamo qualcosa. Quando non si litiga con i portatori per il “dio” denaro, è piacevole star con loro perché si scherza, si scambiano i vocaboli delle rispettive lingue, si ascoltano con piacere le loro asserzioni e punti di vista; inoltre si sopportano insieme le fatiche del cammino e del peso dei materiali. Al pomeriggio il sole fa capolino tra le numerose nuvole e ci accompagna fino a Bahundanda dove pernottiamo. Le abitazioni private utilizzate per ospitare escursionisti sono molto numerose a dimostrazione dello spirito intraprendente dei nepalesi.

Parallelamente all’attività turistica, l’agricoltura e l’allevamento restano comunque basilari per l’economia nepalese. Negli hotel si ritrova ogni tipo di bevanda occidentale e viene effettuato il servizio ristorazione al completo, in alcuni vi è la presenza di rudimentali docce, con acqua  riscaldata mediante pannelli solari. Le ore di luce in questo posto non sono molte: il sole sorge alle 5.30 e tramonta alle 19.30 per cui occorre sfruttare le ore mattutine camminando per poter trascorrere il pomeriggio nei villaggi a contatto con i nepalesi. In questo periodo, probabilmente a causa della grande umidità, sono numerosissime le sanguisughe che, se anche di dimensioni più ridotte rispetto a quelle a cui siamo abituati, si accaniscono contro ogni parte non coperta del corpo ed effettuato il salasso diventano enormi.

Altra nottata di pioggia a catinelle che si placa al sorgere del sole ma, all’ora stabilita per la partenza, i portatori dormono. Li sveglio con riguardo. Durante il cammino effettuiamo più soste del solito, sebbene i carichi siano alquanto leggeri. Per effettuare il trasporto dei materiali abbiamo acquistato due ceste “doko”, simili alle nostre “civere” valsesiane, e due “naamlo”, fasce di tessuto da utilizzare per il trasporto dei carichi secondo il sistema nepalese. Questa fascia viene appoggiata sulla fronte e fatta passare intorno al bordo inferiore della cesta. Occorre essere abituati al trasporto di pesi con questo metodo ed a me personalmente è risultato oltremodo scomodo.

Se il rapporto con i portatori non è certo dei migliori, cosa diversa è quello con Sergio. Possiede un forte spirito di adattamento e non si lascia demoralizzare da nessuna situazione negativa. Sicuramente un compagno ideale per questa avventura. 

Trascorse un paio d’ore, durante un’ennesima sosta, i portatori ci ricattano richiedendo un’elevata cifra in dollari, pena la sospensione del trasporto. La situazione non è allegra poiché distiamo parecchio dai centri abitati. Decidiamo di non accettare e di arrangiarci in qualche maniera. Nasce ugualmente una lite e con l’aiuto di Sergio raccogliamo i bagagli e ci allontaniamo lentamente con grande fatica, dato il peso. I portatori ci inseguono gridando frasi nella loro lingua indecifrabile, ma sicuramente con toni di minaccia. A questo punto, preso dalla rabbia, raccolgo sassi di varie dimensioni e comincio a lanciarli nella loro direzione fino a metterli in fuga. Abbiamo i nervi a pezzi, sostiamo per concederci una pausa riflessiva; questa situazione è la semplice conseguenza delle abitudini dei portatori a trattare con persone scarsamente pratiche dell’ambiente montano, in completa dipendenza da loro e delle quali approfittano con sistemi ricattatori. Per loro noi siamo occidentali pieni di soldi e non è peccato alleggerirci un po’.

Lascio Sergio con i bagagli e proseguo in cerca di qualche centro abitato. In una piccola abitazione trovo un ragazzo che riesco a convincere ad aiutarci a portare il carico fino al villaggio di Tale. Torno con lui da Sergio, dividiamo il peso in tre parti pressappoco uguali e proseguiamo. Il paesaggio che incontriamo, fatto di gole profonde, cascate e vegetazione rigogliosa, fa sì che il malumore si allontani velocemente. Il villaggio tibetano di Tale, che in nepalese significa lago, ci ricorda l’antica presenza di un bacino lacustre ormai scomparso. Situato a 1.700 metri e adagiato in una conca circondata da elevate alture, la sua bellezza viene esaltata dalla presenza di una meravigliosa cascata. A parte la  fregatura della prima notte, 200 rupie, abbiamo capito che bastano 20 rupie per dormire. Una bottiglia di birra ne costa 80. Ritornando alla questione portatori è sicuramente meglio non impegnarsi per lunghi percorsi ma sceglierli tappa per tappa, anche cambiandoli continuamente; questa regola vale però per il solo periodo monsonico, causa della limitata richiesta. Basti pensare che dall’inizio del trekking non abbiamo ancora incontrato un occidentale. Le abbondanti piogge sono un ostacolo da non sottovalutare per chi non possiede un’adeguata esperienza in montagna e spesso i sentieri si trasformano in torrenti.

Nuova giornata, nuovo portatore. Questa volta mi astengo da ulteriori commenti.

Finora abbiamo mantenuto la media di sette-otto ore effettive (soste escluse) di cammino giornaliere. A differenza della Valsesia dove esistono esclusivamente sentieri in forte salita, qui in Nepal, o meglio nel tragitto da noi svolto, è un continuo sali-scendi per cui i dislivelli sono superiori a quelli che si intravedono sulla cartina. Interessante la microfauna, insetti e affini: cavallette, farfalle, lucertole, ragni... sono di dimensioni eccezionali rispetto a quelli per noi abituali. Durante il percorso Tal-Chame, tappa di questa giornata, saliamo a quota 2715 metri. Si respira l’aria di montagna, l’acqua è più fresca e, nonostante le faticose salite, sudiamo molto meno.

Tra i villaggi attraversati, degni di nota Dharopani e Koto con i caratteristici “chorten” (porte d’accesso e d’uscita dal villaggio). Chame è la sede del distretto di Manang. Esiste una banca e una stazione di polizia. Il cielo è nuvoloso ma speriamo domani si rassereni poiché sulla finestra del nostro hotel c’è una scritta che promette la visione del Manaslu, uno dei 14 ottomila del nostro pianeta. All’alba del nuovo giorno scorgiamo solamente il Phunki (6.533 metri), in direzione Manaslu, mentre in altra direzione compare tra le nubi il colosso Annapurna III.

La nostra giornata tipo consiste nella sveglia alle 5.00, con pulizia personale e colazione abbondante: Nutella, marmellate, thè, biscotti, frutta secca e arachidi. Alle 6.00 partenza. Trascorse almeno quattro ore di cammino, pranzo, generalmente leggero a seconda della lunghezza della tappa. Giunti a destinazione, doccia, quando è possibile, seguita dalla visita del villaggio cercando di socializzare con i residenti. Alle 17.30 circa, cena ricca e sostenuta: minestrone, pasta o risotto, formaggio grana, crackers, birra (quando è reperibile), marmellate, Nutella, pillole di vitamine, frutta secca. Alle 20.00 a nanna.

Questo sistema, che può apparire forse un po’ troppo meccanico, consente di trascorrere le ore di cammino piacevolmente e di poter apprezzare al meglio le bellezze naturali offerte da questo grande paese.

La tappa di oggi sino a Manang (3.500 metri) è stata la più lunga e faticosa ma anche quella che sinora ci ha donato i momenti più belli grazie ai paesaggi da fiaba che abbiamo incontrato lungo il percorso. Il nuovo portatore si chiama Ram, è sicuramente il migliore da noi ingaggiato: non crea alcun problema, conosce bene la zona e pur essendo abbastanza giovane possiede una notevole esperienza. Di comune accordo Sergio ed io abbiamo deciso di pagarlo bene: 10 dollari al giorno. Per loro è una cifra elevata.

Nella prima parte del percorso attraversiamo un bellissimo bosco di conifere, ma è dopo Pisang che lo spettacolo davanti ai nostri occhi ci fa letteralmente impazzire: prati fioriti, guglie dolomitiche, stupa di ogni dimensione e sullo sfondo i colossi himalaiani.

Notando la particolare presenza di coltivazioni di fiori, il nostro Ram ci spiega che servono per  produrre il pane locale che si effettua solo in determinati periodi dell’anno. La bellezza dei paesaggi oggi osservati mi impedisce di dormire. Rivedo continuamente come fotografie questi luoghi e riesco a comprendere come mai ogni anno aumenta il numero di persone in visita a questo paese. Ne vale davvero la pena!

La fortuna ci assiste e l’indomani, mezz’ora dopo la sveglia, scompare totalmente la nuvolaglia per lasciar posto ad un azzurro intenso consentendoci di ammirare a bocca aperta le montagne più alte della terra: Annapurna II, Annapurna III, Gangapurna, Tilicho Peak, il Chulu ...Giornata indimenticabile!

Faticosamente procediamo, la quota si fa sentire obbligandoci a proseguire più lentamente, sosta a Leder: notiamo la presenza di un posto ristoro, chiuso poiché siamo fuori stagione.

Phedi, che significa “ai piedi della collina”, è l’ultimo posto in cui è possibile trascorrere la notte al riparo di una costruzione per chi intende effettuare il passo Thorong e completare il circuito dell’Annapurna. Anche qui controllano il permesso trekking e per la prima volta incontriamo due occidentali, precisamente spagnoli. Ram racconta che nei mesi autunnali in questo posto sostano normalmente fino a 300 escursionisti, un incubo, penso io!

All’alba del 31 luglio 1995 tra nebbia, freddo e foschia un’erta salita ci conduce verso il Thorong Pass.

Mi sento in gran forma per cui interrompo ogni tanto il cammino per la ricerca di ammoniti (fossili molluschi vissuti nel Giurassico) poiché in questa zona, e ancor di più verso Jomoson, ne è segnalata una forte presenza.

Ognuno col proprio passo giungiamo sul colle alto 5.400 metri.

E’ la prima volta che giungo ad un’altezza simile, ma il paesaggio che scorgo sul colle è quello tipico dei 3.000-3.500 metri delle Alpi. Ai lati ci sono due montagne che mi appaiono fattibili solamente con adeguata attrezzatura alpinistica. E’ presente un ometto di sassi dalla cui sommità si dipartono alcuni fili con appesi pezzi di stoffa, sui quali sono trascritte preghiere buddiste.

Altre tre ore di cammino e siamo a Muktinath: situata a 3.800 metri, in un boschetto di pioppi, è considerata sacra da induisti e buddisti. In particolare gli indù credono che bagnarsi in questa località consenta di ottenere la salvezza dopo la morte. Il tempio-monastero omonimo è circondato da mura, all’interno un elegante giardino botanico e le deliziose 108 fontane. Oggi Sergio e Ram hanno avuto qualche problema legato alla quota, mal di testa e nausea, ma giunti a Muktinath sono scomparsi. In questa  giornata il tempo pessimo ha impedito la visione del Dhaulagiri, ancora in lontananza; speriamo in giorni migliori.

La pioggia ci tiene compagnia lungo il percorso che porta a Kagbeni (2805 metri), villaggio situato alla confluenza di due corsi d’acqua, mentre in seguito è il vento che ci accompagna a Jomoson e a Marpha. Se Jomoson è stata una delusione, Marpha è il villaggio più bello finora incontrato: ordinato, pulito, presenta le vie lastricate con canali di drenaggio e fossati. I vari hotel sono inseriti nel contesto urbano senza spezzare l’armonia con le altre abitazioni.

Simile a Marpha, Tukche (2.590 metri), ma non altrettanto pregevole.

In tutta l’area che da Jomoson va a Laryiung, posto tappa di oggi, numerosi gli alberi da frutta: mele, pere, albicocche, prugne e noci.

In questa giornata simile ad altre è accaduto un piccolo dramma. Due ore prima di arrivare al posto tappa io e Sergio, come già altre volte avvenuto, allunghiamo il passo per cercare un hotel decente e lavarci in attesa di Ram il quale non trovandoci, e dopo aver domandato di noi nei vari hotel di Laryung, procede fino a Lete, due ore e mezza di strada più avanti. Nel frattempo per noi l’attesa si fa snervante, preoccupati pensiamo di tutto: dall’infortunio fino al furto del nostro materiale. Percorriamo più volte a ritroso il sentiero ma niente! Siamo obbligati a mangiare pasto nepalese poiché le provviste sono nel carico di Ram. Dormiamo preoccupati!

Al mattino stiamo per tornare a Turke quando la proprietaria dell’hotel ci dice che qualcuno ha visto passare il nostro portatore il giorno precedente verso le ore 17.00. Senza perdere tempo ci affrettiamo in direzione di Kalopani.

Un affluente del Kali Kandaki ci chiude il passaggio e non ci resta che guadarlo a piedi nudi, con l’acqua che rasenta l’inguine, poiché non esistono ponti. Ho i nervi a fior di pelle e senza una motivazione veramente valida mi accanisco su Sergio che non ne può niente. Stiamo vivendo il periodo peggiore da quando siamo in Nepal. Finalmente ai nostri occhi appare Ram con il volto segnato dalla preoccupazione. Ha lasciato il carico a Lete ed è tornato indietro per cercarci. Morale: ci raccontiamo le reciproche disavventure e il sorriso torna sul nostro volto.

Tappa assai lunga quella di oggi, oltre nove ore soste escluse, ma per fortuna quasi sempre in leggera discesa. Il paesaggio in genere non presenta grosse attrazioni, forse perché i nostri occhi sono ancora stregati dalle superbe visioni dei giorni precedenti. Anche oggi il tempo è tiranno e non ci concede di osservare i colossi himalaiani; speriamo per il futuro.

In un primo tempo avevamo deciso di recarci anche al campo base dell’Annapurna ma sono diversi giorni che non vediamo l’azzurro del cielo, per cui desistiamo. Ram pur essendo stanco rimane deluso di questa decisione e questo mi addolora. Sicuramente faceva conto su un’ulteriore fonte di guadagno.

La tappa odierna sino a Ghorepani è alquanto faticosa perché il percorso riprende la salita con 1.600 metri di dislivello e sei ore e mezza di marcia effettiva. Lungo il percorso, pochi i villaggi e generalmente piccoli. Ghorepani, situato a 2.850 metri, è in continua espansione. Adagiato in una sella, è il punto di partenza per Pun Hill, posto panoramico tra i più interessanti del tour. Questa sarà l’ultima nottata trascorsa al fresco, domani saremo a Pokhara. E’ una fortuna aver trovato Ram: è leale, conosce bene la zona e le montagne, possiede un’enorme resistenza fisica al cammino con carico elevato ed il suo passo lento ma continuo sembra inarrestabile, unica pecca soffre di aerofagia!

È ancora buio quando ci incamminiamo verso Pun Hill, posto 265 metri più in alto di Ghorepani, il cielo stellato promette bene.

Da questo luogo lo spettacolo ha dell’incredibile per chi ama le montagne, anche Sergio sembra colto da paralisi. La più imponente è il Dhaulagiri, affiancata dal Dhampus Peak e dal GurgaHimal.

Verso nord prevalgono l’Annapurna I e il Machhapuchare; tra i due l’Annapurna South. Fotografie in tutte le salse e poi, affascinati, ad osservare le diverse tonalità di colore che compaiono con il levarsi del sole. Siamo soddisfatti di come il trekking sia pienamente riuscito: tempo bello nei posti panoramici, un buon portatore e il nostro fisico che ha retto bene agli sforzi quotidiani.

Essendo l’ultima tappa ci fermiamo spesso a bere e a guardarci intorno, sostiamo per il pranzo gustando la tipica cucina nepalese.

Il pasto viene servito in un vassoio metallico con uno scomparto più grande per il riso bollito e tre scomparti piccoli riempiti rispettivamente di salsa di lenticchie, patate, verdure e bambù con peperoncino.

Giunti non molto oltre Birethantì, compare la strada asfaltata che ogni anno si allunga e riduce questo trekking. Lì prendiamo un taxi, se così si può definire. I 40 chilometri che ci separano da Pokhara, percorsi con guida indescrivibile, sono sicuramente i più pericolosi di tutto l’itinerario del circuito dell’Annapurna!

Pokhara è un villaggio che, “grazie” al turismo, si è trasformato in un disordinato insieme di ristoranti, hotel, negozi d’ogni genere e strutture turistiche: di tipico rimane solo il lago!

Tramite un’agenzia confermiamo il volo di rientro in Italia e acquistiamo i biglietti bus e treno per Delhi, in India, che costituirà l’inizio della seconda parte, più turistica, del nostro viaggio.

Salutiamo Ram, che ricompensiamo profumatamente. Per lui il trek non è finito poiché dopo il viaggio a Dumre dovrà camminare fino a Tal per riabbracciare moglie e figli.

Non ci resta che festeggiare! Trascorriamo la serata per le vie a curiosare nei negozi poi, quando l’appetito si fa insopportabile, entriamo in un ristorante per un paio di pizze e birra a fiumi.

Mentre rientriamo esplode un temporale e la pioggia furiosa ci costringe a correre mentre la scarsa visibilità, dovuta all’assenza di punti luce, provoca uno scontro di Sergio con un ciclista, per fortuna senza danni. Continuiamo a correre, non faccio in tempo a gridare a Sergio di stare attento quando cado in un fosso alto come la mia persona. Ma questa volta i danni ci sono! A fatica, arrampicandomi, riesco ad uscire dal fosso. Un piede sanguina, per capire cos’è accaduto lo avvicino al getto d’acqua di un canale e questo provoca un intenso dolore. Non riuscendo a trovare l’ubicazione del nostro hotel mi fermo. Sergio intanto si fa aiutare da un ragazzo e continua la ricerca. Trascorrono pochi minuti e vedo nuovamente Sergio con un ombrello: l’ha trovato!

Nella stanza effettuo le prime grossolane medicazioni: probabilmente un’unghia rotta, un dito fratturato, più lussazioni e ferite varie. Ormai è tardi, domani con calma mi recherò da un medico e la cosa mi preoccupa alquanto visto che siamo in Nepal.

Alle 6.00 di mattina bussano alla porta, è il proprietario dell’agenzia che ci avverte che il nostro bus sta partendo: la sera prima avevamo concordato la partenza alle 18.00. No comment!

Zoppicante, arrabbiato e stanco preparo insieme a Sergio i bagagli e via in fretta e furia.

Il viaggio interminabile verso Delhi durerà 36 ore, soste comprese.

Questo spiacevole episodio non è riuscito minimamente ad intaccare la gioia di aver percorso questo trekking e invito tutti quelli che amano la montagna a visitare il Nepal.


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